Senza soffitto, senza cucina

Il quartiere berlinese di Kreuzberg si trova nel centro della città. Tra il 1961 e il 1989, Kreuzberg è stato perciò una terra di confine, una sorta di area-cuscinetto tra il resto di Berlino ovest e il Muro. La vicinanza dell’Est e dei suoi cecchini ha fatto sì che per quasi trent’anni il quartiere abbia ospitato soltanto coloro che in termini di scelte abitative potevano fare poco gli schizzinosi: in particolare, si è trasferita nel quartiere una buona parte degli immigrati turchi giunti a Berlino a partire dal secondo dopoguerra. Una volta crollato il Muro, Kreuzberg si è trovato di colpo catapultato dai margini di una città divisa al pieno centro di una riunita. Di colpo, il suo status di patria dei berlinesi indesiderabili ha conferito al quartiere una qualità più pericolosa del filo spinato e dei fucili spianati: lo ha reso cool. Con il passare del tempo, il quartiere ha iniziato a cambiare: i suoi abitanti non sono più immigrati dal reddito basso, sulle strade si affacciano locali e ristoranti, i turisti che visitano la capitale tedesca passano tutti, almeno una volta, da Kreuzberg. Di conseguenza, gli affitti hanno iniziato a salire, al punto che i residenti originari del quartiere spesso non possono più permetterseli.

Kreuzberg è un esempio spesso citato di un fenomeno che riguarda non solo l’intera città di Berlino, ma moltissime città in tutto il mondo, da Londra a Lagos. La spiegazione che viene spesso fornita del circolo vizioso tra gentrificazione e aumento degli affitti è piuttosto semplice: sempre più persone e/o persone sempre più ricche vogliono trasferirsi in un dato luogo, il che permette ai proprietari di case di alzare il costo degli affitti. I cambiamenti nella popolazione residente portano all’apertura di nuovi negozi, locali e ristoranti, a una riqualificazione degli edifici e a un aumento nelle forniture di servizi, con la conseguenza di rendere la località in questione ancora più desiderabile. Se è vero che l’aumento degli affitti in molte città, inclusa Berlino, è sicuramente dovuto a una crescita notevole del numero dei residenti e soprattutto degli stranieri che ci si trasferiscono, è anche vero che il quadro dipinto fino ad ora non racconta la storia per intero.

A volersi procurare superfici abitabili a Berlino, infatti, non sono soltanto privati cittadini che sperano di sfondare come DJ. La città è vittima, come moltissime altre intorno al mondo, di quella che la sociologa olandese-americana Saskia Sassen chiama la “finanziarizzazione” del mercato immobiliare. In parole povere, a volersi accaparrare proprietà nella capitale tedesca sono anche, se non soprattutto, grandi compagnie immobiliari le cui azioni sono a loro volta oggetto di compravendita sui mercati finanziari. È il caso ad esempio di Deutsche Wohnen, la seconda compagnia immobiliare più grande della Germania, che da anni compra immobili e terreno a Berlino in alcuni casi anche dalla stessa amministrazione municipale (le cui finanze sono notoriamente in condizioni disastrose). Deutsche Wohnen è di proprietà di una serie di entità finanziarie di vario tipo, che scommettono di fatto sulla futura popolarità di quartieri come Kreuzberg, gonfiando a dismisura i prezzi delle proprietà e gli affitti.

Il 26 settembre 2021 la Germania ha votato per eleggere un nuovo Parlamento e un nuovo Cancelliere. Mentre gli occhi del mondo erano puntati sui potenziali successori di Angela Merkel, tuttavia, a Berlino avveniva una piccola rivoluzione: il 56.4% dei residenti nella città si è espresso favorevolmente in un referendum che proponeva di espropriare Deutsche Wohnen e altri grandi proprietari immobiliari nella città, per un totale di appartamenti stimato intorno alle 240.000 unità. Se riuscisse, l’espropriazione dovrebbe restituire tali proprietà alla collettività, facendo sì che esse vengano gestite per garantire l’accesso a soluzioni abitative adeguate a tutti i cittadini.

Il risultato del referendum è stato salutato da alcuni come l’inizio di un cambiamento che potrebbe estendersi al resto dell’Europa. La strada, però, non è affatto semplice: in primo luogo, il referendum non è di per sé vincolante per le autorità cittadine che dovrebbero metterlo in pratica. Se anche esse decidessero di procedere con l’esproprio, resterebbe da verificarne la legalità dal punto di vista costituzionale, ma soprattutto bisognerebbe risolvere la questione della compensazione da pagare alle società in possesso degli appartamenti.

Espropriare grandi quantità di abitazioni, inoltre, non è necessariamente una soluzione applicabile in tutti i contesti, o adatta a risolvere da sola la crisi abitativa che esiste a livello mondiale. Il canale YouTube Unlearning Economics ha pubblicato un video che esplora una serie di problematiche più ampia della sola finanziarizzazione, tenendo conto di fattori come la differenza tra la speculazione sul terreno e quella sugli edifici e il ruolo delle diseguaglianze sociali nell’esacerbare le bolle immobiliari (i dati disponibili suggeriscono che molto spesso i super ricchi tendono ad occupare fisicamente grandi quantità di spazio nelle città, contribuendo a gonfiare i prezzi). Lo stesso video propone anche diverse politiche adatte a rispondere a queste problematiche, dalle tasse sul terreno alla creazione di cooperative per l’acquisto e la gestione delle proprietà immobiliari.

La più grande vittoria della campagna per espropriare Deutsche Wohnen & Co. è probabilmente il fatto di aver portato la questione abitativa al centro del dibattito dentro e fuori da Berlino. Nel loro libro “In Defense of Housing – The Politics of Crisis” David Madden e Peter Marcuse sottolineano come tale questione sia centrale nella vita di sempre più persone a livello globale. Ovunque cresce il numero dei senzatetto, gli sfratti sono estremamente frequenti e alcune ricerche sono arrivate a suggerire che gli spostamenti di persone provocati dallo sviluppo immobiliare, l’innalzamento dei prezzi e le nuove costruzioni siano paragonabili a quelli causati da disastri naturali e conflitti armati. Madden e Marcuse sottolineano anche come le vere e proprie crisi del mercato immobiliare non sono che forme acute di una problematica che per la maggior parte delle persone di ceto basso esiste anche normalmente: per queste ultime, la difficoltà estrema nel trovare soluzioni abitative adeguate è un problema costante.

Come molti altri critici delle condizioni attuali dei mercati immobiliari, Madden e Marcuse sostengono che il problema di fondo sia la mercificazione stessa di case e appartamenti, l’idea che gli immobili siano beni come tutti gli altri e dunque il rifiuto di riconoscerne l’importanza nella vita delle persone. Ovviamente, lo stesso ragionamento potrebbe essere esteso a svariate altre categorie, a partire dal cibo. L’intensità del dibattito sulle case, tuttavia, indica con tutta probabilità la fedeltà estrema con cui l’attuale situazione di crisi abitativa globale riflette le contraddizioni del sistema capitalistico e le difficoltà dei mercati nel distribuire adeguatamente un bene di primaria importanza come lo è un tetto sopra la testa. Per questo, le abitazioni sono forse un buon punto di partenza per produrre un cambiamento nelle logiche alla base del nostro sistema economico. Se il mondo finisse per guardare a Berlino in cerca dei segnali di una rivoluzione, non sarebbe certo la prima volta.

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