Carlo Williams Carlos

As it is I must write in English, a bastard tongue but fairly maneuverable.

(E. Hemingway)

Diciamo la verità: quando si pensa agli Stati Uniti, sicuramente, la poesia non è la prima cosa che salta alla mente. La lingua inglese non si presta all’eleganza. Chi ha mai letto Chaucer e ha pensato “Ah, che bella poesia!”? L’inglese, come ci suggerisce Hemingway, è manovrabile; soprattutto nella sua variante americana, essa è una lingua pragmatica, che segue un andamento lineare, trova la scorciatoia più semplice ed infine colpisce il bersaglio, velocemente, senza poeticità.

Gli esperimenti letterari in inglese, in particolare poetici, più riusciti infatti sono quelli che non provano a rendere tale lingua ciò che non è: si accontentano della sua semplicità strutturale, sintattica e morfologica, in modo da renderla uno strumento di analisi che parte dal tangibile per arrivare al celato o il “non detto”.

Questo, in linea generale, è ciò di più bello che ha da offrire la letteratura angloamericana, a partire da Leaves of Grass (Foglie d’erba) del trascendentalista Walt Whitman, che sarà nel primo Novecento una delle fonti fondamentali del movimento letterario americano par excellence: il Modernismo.

Al Modernismo angloamericano appartengono le voci più disparate, tra queste, vi sono quelle della famosa Lost Generation, e dunque, le voci di Ezra Pound, F. Scott Fitzgerald, T.S. Eliot, Gertrude Stein, Hilda Doolittle ed Ernest Hemingway, il quale teorizza negli anni Venti la teoria dell’omissione, che formalizza per l’appunto la lingua inglese come la lingua del tangibile che cela, o rivela, il trascendente.

Concentrando la nostra attenzione sulla produzione oltreoceano, tuttavia, in questo articolo vi vorrei prendere come rappresentazione esemplare dell’uso della lingua inglese un poeta di cui non si sente spesso parlare, ma la cui poesia ha rivoluzionato la produzione in versi americana: William Carlos Williams, colui che potremmo definire il poeta americano delle piccole cose. Nato a Rutherford nel 1883, Williams fu un medico del New Jersey che dedicava il suo tempo libero alla poesia, diventando così uno tra i più famosi, fondamentali, nonché premiati scrittori statunitensi della prima metà del Novecento.

Le sue poesie dimostrano quanto la lingua inglese possa essere resa grande e poetica, se solo si accetta la sua natura, che è indissolubilmente legata alla vita quotidiana delle piccole città provinciali americane, come la sua Paterson, a cui dedica un’intera raccolta di versi. Williams canta di prugne e delle ruote di un carro, del sole che sorge, partendo da un piccolo dettaglio per arrivare a descrivere in poche e semplici parole un’intera città, un’intera America rurale.

Il suo verso si basa sul concetto di metrica variabile, costruita sull’attenta analisi della parlata angloamericana della gente comune.

Per comprendere realmente come William Carlos Williams si serva della lingua inglese possiamo prendere come esempio una poesia scritta alla moglie, su un pezzo di carta in cui si scusava di averle mangiato le prugne, intitolata This is just to say: I have eaten / the plums / that were in / the icebox / and which / you were probably / saving / for breakfast / Forgive me / they were delicious / so sweet / and so cold. Una poesia scarna, in cui nulla viene detto, eppure le prugne non sembrano più solo prugne ed il poeta sembra introdurci nella quotidianità del loro rapporto coniugale. Non abbiamo bisogno di sapere nulla sulla donna, per essere certi che lei lo perdonerà: i versi della poesia ce lo sussurrano dolcemente. Non vi è altra lingua, se non l’inglese, in cui una tale poesia potrebbe funzionare.

La grandezza dei versi delle poesie di William Carlos Williams continua tutt’oggi ad ispirare i poeti statunitensi contemporanei. Ron Padgett (1942-), poeta americano dell’Oklahoma è uno dei più grandi eredi del maestro, tanto che alcune delle sue poesie vengono inserite nel 2016 nel film Paterson di Jim Jarmusch, dedicato alla storia di un poeta, Paterson, ambientata nella città omonima che – non poco celatamente – ricorda proprio Williams. Nei suoi versi riconosciamo il poeta novecentesco, il suo modo di comunicare che si sofferma sui dettagli della vita mondana e quotidiana, non a caso, infatti, la poesia più iconica del film nasce ispirata da una scatola di fiammiferi, ma viene intitola Love Poem:

We have plenty of matches in our house
We keep them on hand always
Currently our favourite brand
Is Ohio Blue Tip
Though we used to prefer Diamond Brand
That was before we discovered
Ohio Blue Tip matches
They are excellently packaged
Sturdy little boxes
With dark and light blue and white labels
With words lettered
In the shape of a megaphone
As if to say even louder to the world
Here is the most beautiful match in the world
It’s one-and-a-half-inch soft pine stem
Capped by a grainy dark purple head
So sober and furious and stubbornly ready
To burst into flame
Lighting, perhaps the cigarette of the woman you
love
For the first time
And it was never really the same after that
All this will give you
That is what you gave me
I become the cigarette and you the match,
Or I the match and you the cigarette
Blazing with kisses that smoulder towards
heaven

Nei versi di questa poesia, vi sono tutte le caratteristiche della produzione letteraria americana: i fiammiferi prendono fuoco e scrivono una storia d’amore, essi sono l’amore che si nasconde in una scatola di pochi centimetri. Ron Padgett ci dimostra, come fece Williams, che sebbene l’inglese sia una “lingua bastarda”, non elegante né, tantomeno, poetica, ciò non è sempre un difetto.  

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