Le infinite complessità della crisi in Ucraina

Se non avete vissuto in un bunker negli ultimi tempi, probabilmente avrete sentito parlare della crisi in Ucraina. Nel caso non sia così, ecco un quadro degli avvenimenti recenti: a novembre 2021 la Russia ha iniziato una serie di movimenti di truppe al confine con l’Ucraina che sono stati interpretati dagli Stati Uniti e da altri paesi NATO come preparativi per invadere il paese. Di conseguenza, il presidente statunitense Biden ha minacciato pesanti sanzioni economiche nei confronti della Russia in caso di invasione. Da allora, gli stati coinvolti e i loro alleati sono impegnati in una serie di incontri, telefonate, visite, colloqui e trattative per tentare di risolvere la situazione. Putin nega che la Russia sia realmente intenzionata a invadere; che ciò sia vero o meno, sta di fatto che il presidente russo sta utilizzando la propria posizione di forza per tentare di strappare agli USA e ai loro alleati la promessa che l’Ucraina non entrerà a far parte della NATO. Questi i fatti fondamentali, tratti da due delle centinaia di articoli riassuntivi disponibili online (Tra gli altri, Al Jazeera: https://www.aljazeera.com/news/2022/2/13/timeline-how-the-ukraine-russia-crisis-reached-the-brink-of-war; Vox: https://www.vox.com/22917719/russia-ukraine-invasion-border-crisis-nato-explained ). Come spesso accade, tuttavia, la situazione è troppo complessa per qualunque riassunto. Quello che state leggendo, di conseguenza, non è un articolo che mira a semplificare: all’opposto, spero che uscirete da questa lettura ancora più confus@ di come l’avete iniziata, ma con un senso di questa complessità. Ecco, dunque, tre brevi spunti di riflessione, tre elementi di complessità per un po’ di ginnastica mentale.

1) Perché la NATO? 

Come tutt@ sappiamo, la NATO nasce con il cosiddetto Patto Atlantico del 1949 tra i 12 paesi che andranno a costituire il blocco occidentale durante la Guerra Fredda. Il Patto Atlantico è significativo soprattutto per il suo articolo 5, per il quale un attacco contro una delle nazioni facenti parte dell’Alleanza verrà considerato come un attacco contro l’intera coalizione. Seppur pensato per tutelare i paesi dell’Europa occidentale da un potenziale attacco sovietico, l’articolo 5 verrà in realtà invocato una volta soltanto e non durante la Guerra Fredda, bensì il 12 settembre 2001. 

Avendo stabilito che la NATO è essenzialmente una creatura della Guerra Fredda, una domanda sorge spontanea: qual è, esattamente, la sua funzione da quando l’Unione Sovietica è crollata? In questo articolo apparso di recente su Vox, Jonathan Guyer offre un resoconto del dibattito avvenuto negli USA nel corso degli anni ’90 sull’opportunità di tenere in vita la NATO ed espanderla verso est: una mossa che, secondo Guyer, era ritenuta da molti poco utile agli interessi strategici degli Stati Uniti, costosa e capace di scatenare pericolose reazioni da parte russa. Nonostante ciò, dal 1991 l’alleanza ha inglobato praticamente tutti gli ex-paesi del Patto di Varsavia, divenendo contemporaneamente una sorta di braccio armato degli Stati Uniti nel ruolo di forza dell’ordine globale che essi hanno giocato almeno fino alla presidenza Trump. 

In quest’ottica, la volontà di Vladimir Putin di non vedere l’Alleanza espandersi fino alla frontiera russa appare legittima. Che la NATO sia una creatura essenzialmente statunitense è reso ancora più palese dal fatto che l’Unione Europea ha una posizione ambivalente nei confronti di essa: la Francia ne ha abbandonato il comando militare già nel 1966 per perseguire un proprio programma di difesa autonomo, e parla oggi della necessità di lavorare nell’ottica di una fantomatica (e forse irrealistica) “autonomia strategica” per l’Europa. Come osservava giustamente un tizio solo parzialmente sobrio al barbecue di compleanno del mio coinquilino domenica scorsa, “se la Russia facesse un’alleanza militare col Messico gli Stati Uniti gli butterebbero l’atomica”. 

2) L’utilità discutibile delle sanzioni 

Come abbiamo visto, gli Stati Uniti pianificano l’imposizione di sanzioni economiche nei confronti della Russia in caso di invasione. Come osserva Marco D’Eramo in questo articolo apparso sulla New Left Review, però, le sanzioni internazionali presentano una serie di criticità. In primo luogo, esse sono spesso poco efficaci: gli Stati Uniti hanno già imposto una serie di sanzioni alla Russia dopo gli eventi del 2013 in Ucraina, a seguito delle quali, tuttavia, il paese lungi dal piegarsi ha iniziato a produrre da sé i manufatti che prima importava, potenziando la propria industria. In secondo luogo, le sanzioni sono estremamente difficili da abrogare. Nessun presidente statunitense vuole essere tacciato di debolezza in politica estera, con il risultato che un paese sanzionato si trova dinanzi alla prospettiva di restare tale a oltranza: una prospettiva che elimina ogni incentivo ad adempiere alle richieste statunitensi, dato che farlo o meno non fa alcuna differenza. Infine, scrive D’Eramo, per un paese che ha trascorso buona parte degli ultimi settant’anni a spingere per la liberalizzazione dell’economia globale, fare largo uso di uno strumento che agisce in senso contrario è quantomeno ironico. 

Per di più, non tutti gli alleati degli Stati Uniti sembrano altrettanto pronti a imporre nuove sanzioni alla Russia: molti paesi europei sono preoccupati per gli effetti che questo potrebbe avere sulle loro economie, e con ragione. Le forniture russe di gas naturale costituiscono circa il 40% del totale delle importazioni europee. La dipendenza energetica europea dalla Russia costituisce un vero e proprio asso nella manica per Putin, soprattutto considerato che la Cina appare interessata a comprare il gas russo. Resta dunque agli Stati Uniti l’arduo compito di assicurare all’Europa forniture alternative, se vorranno convincere i paesi europei a partecipare a un nuovo giro di sanzioni contro la Russia.

3) Ma questa Ucraina tu sai chi è? 

In tutto questo, lunedì pomeriggio il presidente ucraino Zelenskyy è apparso in un video dicendo qualcosa che suonava come “ci dicono che l’invasione avverrà mercoledì”. Successivamente è stato chiarito che l’affermazione, che ha comprensibilmente causato una certa dose di panico e confusione, non era che una battuta sulla tendenza generalizzata da parte del mondo intero a pronosticare un’invasione imminente. Prima di scandalizzarvi per la sua scelta di scherzare su una potenziale invasione militare del proprio paese, forse dovreste sapere che Zelenskyy è un comico. Non nel senso che ama fare battute, nel senso che è letteralmente un attore comico: prima di essere eletto nel 2019 ha interpretato per 5 anni il ruolo del presidente dell’Ucraina in una popolarissima serie tv comica intitolata Servant of the People

Zelenskyy, che ha passato buona parte degli ultimi mesi a lanciare l’allarme ed assicurarsi una risposta internazionale, sembra avere ora cambiato registro. La reazione statunitense, e i pronostici di guerra, infatti, hanno preoccupato i mercati finanziari rendendo difficile per l’Ucraina accedere al prestito. Per di più, c’è chi sostiene che Zelenskyy teme che gli Stati Uniti stiano esagerando l’entità della minaccia costituita da Putin per avere più spazio di manovra nei negoziati con la Russia, forse allo scopo di concederle un maggior controllo sulla regione del Donbas e ristabilirvi così l’ordine. 

A proposito del Donbas. Per rendere giustizia alla situazione servirebbe un altro articolo. Basti sapere che il Donbas è una regione industriale nell’est dell’Ucraina che ospita ingenti minoranze russe. Dal 2014 è in corso in Donbas una guerra tra forze separatiste armate e sostenute dalla Russia e l’esercito ucraino, cui si accompagnano milizie quantomeno poco raccomandabili. Mi spiego meglio: se da una parte la variegata coalizione che compone le forze separatiste non è certamente tale da meritare entusiasmi eccessivi, dall’altra è anche vero che parte delle milizie volontarie che combattono nel Donbas al fianco delle forze di sicurezza ucraine fanno capo al cosiddetto Pravyj Sektor, letteralmente Settore Destro, che è un partito politico e organizzazione paramilitare variamente descritto come ultranazionalista, neonazista o neofascista. Il cosiddetto Battaglione Azov, inquadrato nella Guardia Nazionale Ucraina, è accusato da più parti di avere rapporti con Casapound. Altre fonti parlano addirittura di un “derby nero”, per cui diverse organizzazioni neofasciste italiane si sarebbero trovate a combattere dai due lati opposti della barricata.

A questo punto vorrei poter trarre delle conclusioni, ma non ci sono conclusioni da trarre, se non forse che, come afferma il signor Osgood alla fine di Qualcuno piace caldo, “nessuno è perfetto”. Questo articolo non voleva essere un riassunto, e non voleva semplificare. Forse l’unica lezione che l’Ucraina può insegnarci è che le cose sono spesso molto più complicate di quello che sembrano. Una banalità, forse spaventosa, forse rassicurante. Se la si guarda da vicino, la mappa del mondo diviene infinitamente confusa, al punto che darle un senso risulta impossibile. Se non altro, forse questo spiega la scelta compiuta dagli ucraini: chi scegliere come protagonista, se non un attore comico? 

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