(Ri)leggere Lu Xun

Ogni giorno unə studentə di cinese si sveglia e sa che prima del tramonto qualcuno si avvicinerà quatto quatto, tirerà fuori dalla tasca una chiavetta USB con dentro mille pdf pesantissimi pieni di scansioni sfocate e, col sorriso complice di chi la sa lunga, dirà: “Se vuoi capire la Cina, leggi Lu Xun”.

Il che è ridicolo, ovviamente: per rendersene conto basta prestarsi a un rapido giochino che consiste nel provare a finire la frase “Per capire l’Italia, leggi…” senza provare imbarazzo. Ecco, infatti, non funziona. Eppure Lu Xun vale la pena di leggerlo lo stesso. Per cominciare, perché c’è un motivo se lo ricordiamo come “il padre della letteratura moderna cinese” e il “Dickens cinese”, anche se entrambe le descrizioni gli avrebbero probabilmente fatto storcere il naso. Il motivo è che è stato uno dei primi ad abbandonare lo stile pomposo e polveroso da funzionario imperiale che aveva caratterizzato molti intellettuali cinesi per secoli, nonché a prestare attenzione a questioni forse meno mondane rispetto ai soliti intrighi di corte, ma più fedeli alle esperienze di vita della stragrande maggioranza dei suoi coevi.

Un esempio? L’esperienza di vita di abbandonare a malincuore il villaggio natale e fantasticare per anni su un futuro ritorno che, una volta consumato, si rivela agrodolce. Oppure di morire di superstizione, che sia per averla assecondata o per aver provato a sbugiardarla. O ancora di passare il tempo a “raccontarsela”, a tagliare e cucire pezzi di una vita che si percepisce come mediocre, nella speranza che ne esca un tappeto abbastanza grande da coprire tutto il senso di inadeguatezza. Tutte questioni che guardate attraverso gli occhi di Lu Xun inevitabilmente offrono uno spaccato della sua Cina, ma che parlano soprattutto dei sempreverde dell’esperienza umana.


Quindi sì, leggi Lu Xun, ma non per capire la Cina. Leggilo per fare una chiacchierata con un amico più grande che è anche più saggio, ma sembra non accorgersene, e allora ti racconta le sue storie in modo semplice e sincero, senza piegarsi alle esigenze retoriche dello scrivere bello, ma finendo sempre, suo malgrado, per scriverle bene. Un amico che non ha la pretesa di insegnarti o convincerti di nulla, ma alla fine ti influenza lo stesso, perché ti fa entrare dentro ai suoi aneddoti così profondamente che ti sembra di averli vissuti davvero, e finisci per comportarti di conseguenza: perché far finta di non sapere la strada, se te l’hanno già mostrata?

Ti consiglio di partire dalla raccolta di racconti Grida. Ti vedo che salti la prefazione! Torna indietro e leggila, se l’è scritta da solo, ma ho sentito che merita. Alla mia amica che non sono assolutamente io è piaciuta molto, ha detto che sembra scritta proprio per le persone a cui piace scrivere cosa pensano, ma ultimamente non sanno né cosa scrivere né cosa pensare. A quanto pare non offre risposte, ma aiuta a sentirsi capitə, che a volte basta e avanza. A me non serve per fortuna, però te la lascio qui.

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