Il prezzo di Schengen

Il 9 dicembre 2021, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato l’inizio della procedura di ingresso della Croazia nell’area Schengen. “La Croazia è pronta” ha affermato Ylva Johansson, la politica svedese che ricopre il ruolo di commissaria per gli affari interni della commissione von der Leyen. La Croazia, membro dell’Unione Europea dal 2013, entrerà dunque ufficialmente a far parte dell’area Schengen entro il 2024. Solo altri quattro stati, Irlanda, Romania, Bulgaria e Cipro, fanno parte dell’Unione ma non di Schengen, e gli ultimi tre hanno firmato accordi che dovrebbero portarli a entrarvi in futuro. 

L’area Schengen comprende in tutto 26 paesi europei, 22 dei quali fanno parte dell’Unione. All’interno di quest’area non esistono, o almeno non dovrebbero esistere, controlli alle frontiere. L’area Schengen è frutto di un accordo iniziale firmato nell’omonima cittadina del Lussemburgo nel 1985 da cinque degli allora dieci membri della Comunità Europea. Dopo una serie di passaggi, gli accordi di Schengen sono stati ufficialmente incorporati nella legislazione dell’Unione Europea nel 1999.Tali accordi rientrano dunque a pieno titolo nell’insieme degli eventi che nel corso degli anni ‘90 hanno portato alla nascita dell’Unione Europea per come la conosciamo oggi, eventi che a loro volta vanno inseriti nel quadro più ampio della globalizzazione, con il suo corredo di mobilità umana senza precedenti. 

L’approvazione dell’ingresso della Croazia nell’area Schengen da parte degli altri governi europei è giunta dopo un processo di valutazione durato dal 2016 al 2021. Nel corso di questi anni, apposite squadre di esperti hanno raccolto dati per stabilire se il paese rispettasse i requisiti necessari per far parte di Schengen, tra cui quelli concernenti la “gestione delle frontiere esterne”. Non dimentichiamo infatti che la Croazia è terra di confine, inesorabilmente annidata nei Balcani travagliati ma vicina e, sembrerebbe, decisamente rivolta all’Europa centrale. Non dimentichiamo neanche che proprio agli inizi del processo di valutazione che l’ha portato infine a Schengen, il paese si è trovato ad essere una delle tappe della cosiddetta Rotta Balcanica, il sentiero invisibile tracciato da migliaia di persone in viaggio dal Medio Oriente attraverso i Balcani fino al cuore dell’Unione Europea (se di cuore si può parlare).

Fonte: Border Violence Monitoring Network (https://www.borderviolence.eu/background/)

In questa situazione imbarazzante, la Croazia non si è tirata indietro, anzi: si è data da fare alacremente per gestire le frontiere esterne in maniera conforme ai desideri dell’Unione. Quest’ultima ha sostenuto e ricompensato lo sforzo attraverso l’erogazione di 163.13 milioni di euro in sei anni (2015-2021), di cui 41.10 provenienti dal Fondo per Asilo, Migrazione e Integrazione, 122.03 da quello per la “Sicurezza Interna”. Questo documento del 2021 riporta tra quelli realizzati attraverso questi fondi tre distinti progetti volti al rafforzamento delle attività di controllo alle frontiere, per un totale di 22.08 milioni spesi, dieci volte più di quelli utilizzati per l’unico progetto di accoglienza per i migranti elencato. 

Cosa implica, esattamente, questa “attività di controllo alle frontiere”? Proprio negli stessi giorni in cui l’Unione Europea dava la sua benedizione all’ingresso della Croazia in Schengen, il Commissariato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa pubblicava il resoconto di un’indagine condotta in Croazia e terminata nel 2020, da cui è emerso che la polizia del paese usa sistematicamente pratiche violente per ricacciare le persone in movimento fuori dai confini dell’Unione Europea. Queste pratiche includono percosse con mani e oggetti, l’attacco da parte di cani della polizia, e la sottrazione degli effetti personali tra cui anche vestiti, biancheria intima e scarpe. L’organizzazione Border Violence Monitoring Network pubblica rapporti mensili in cui racconta la realtà dei cosiddetti “pushback” da parte della polizia croata (e non solo). Nel 71% dei casi le vittime affermano di essere state picchiate. La maggior parte di esse sono afghane. Oltre alla violazione dei diritti umani costituita dalla violenza in sé, è bene ricordare che i pushback sono illegali: per il diritto internazionale, la Croazia dovrebbe permettere alle persone di fare richiesta d’asilo e permanere sul suo territorio per il tempo necessario all’esame della richiesta stessa. 

La Croazia non fa nulla di tutto ciò, e il perché è evidente: le gioie dell’area Schengen hanno un costo, quello di tenere fuori gli indesiderabili, 163 milioni di euro e la sofferenza di decine di migliaia di persone. I critici della globalizzazione evidenziano da sempre la contraddizione tra la facilità con cui si spostano merci e capitali e le immense difficoltà incontrate da chi parte dal paese sbagliato, nella direzione sbagliata, per le ragioni sbagliate. Ho scritto questo articolo poco dopo essere tornata dal confine bosniaco-croato. Non ho visto, da lì, alcuna contraddizione. Ciò che accade in quei luoghi non è frutto di una falla nel sistema, ma di una delle sue caratteristiche fondanti: quella di essere al servizio di chi vive ai suoi vertici.

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